Ci sono animali che hanno caratteristiche talmente particolari, uniche e a volte sorprendenti che rappresentano per essi stessi una maledizione. Basti pensare al fegato dell’oca, talmente apprezzato dalla cucina gourmet, che il povero animale è nutrito con sistemi che assomigliano ad una tortura per poi essere macellato. O gli animali da pelliccia talmente belli, morbidi e dai colori inimitabili da meritare una impietosa scuoiatura, come accade all’ermellino, alla volpe bianca, al visone. E che dire di quelle parti del corpo di alcuni animali alle quali sono attribuite una qualche proprietà curativa, magica o afrodisiaca come accade per il corno del rinoceronte che ha portato sull’orlo dell’estinzione il pacifico bestione.
A questa categoria di animali belli e dannati fa parte un ormai raro tipo di antilope montana. Si tratta dell’antilope tibetana o, come viene chiamata dai locali, Chirù e il cui nome scientifico invece è Pantholops hodgsonii. Il Chirù è un bovide di medie dimensioni, imparentato con le capre, che un tempo viveva in gruppi numerosi, con centinaia di esemplari, tra le steppe montane e le aree semidesertiche dell'altopiano tibetano. Un erbivoro tenace e timido, molto gregario che ha colonizzato un’area con una bassa densità di popolazione umana, una zona spesso difficilmente accessibile. Eppure questo animale, all’apparenza poco spettacolare, ha attirato l’attenzione degli uomini, fin dalla metà del cinquecento. Da quel periodo, grazie all’iniziale passione di un imperatore con il pallino dell’eleganza il pacifico animale è entrato nel mirino dei cacciatori.
La maledizione che perseguita il povero Chirù è la peluria morbidissima che lo avvolge e con il quale viene tessuto lo shahtoosh, uno dei tessuti più morbidi e caldi che siano mai esistiti. La parola persiana shahtoosh significa proprio il re dei tessuti per sottolineare le sue eccezionali caratteristiche. Caratteristiche che spesso sono circondate da leggende e storie vere come quella della prova dell’anello per la quale uno scialle di shahtoosh sia talmente morbido da essere in grado di passare attraverso un anello.
Però a differenza delle pecore d’allevamento la “lana” di Chirù non si può tosare. Per ottenere un singolo, incomparabile scialle è necessario abbattere dai tre ai cinque capi dato che ogni animale è in grado di produrre dai centoventi ai centocinquanta grammi di materia grezza circa. La caccia intensiva di questo timido animale lo ha portato verso un grave pericolo di estinzione tanto che le autorità di molti paesi al mondo si sono decise ad intervenire. Ma, anche se dal 1979 il Chirù risulta una specie protetta, in passato è stato cacciato in una maniera talmente aggressiva che da una popolazione di circa un milione di esemplari del secolo scorso si è passati ai settantacinque mila capi che attualmente vivono ancora in Tibet.
Per queste ragioni il commercio del pregiato shahtoosh è diventato illegale anche se, attualmente, nei tradizionali luoghi dove veniva prodotto come a Srinagar, in India, si produce e commercializza ancora e dove uno scialle, al mercato nero, può arrivare a costare dai cinquemila ai ventimila dollari.
Per comprendere l’inimitabile qualità di questo tessuto basti pensare che per aumentarne la resa, spesso lo shahtoosh viene intessuto con la pashmina, un tessuto creato con lana cashmere, derivata dal pelo della Capra Hircus o Changthangi che vive nella zona montuosa dell’Himalaya in un’area compresa tra il Ladakh, il Tibet e il Nepal. Lana pregiatissima per “allungare” il re della lana.
In effetti lo shahtoosh è un tessuto affascinante, pieno di storie legate alle tradizioni dell’Asia Centrale. È probabile che fu l’imperatore Moghul Akbar a introdurre l’uso dello scialle nel sedicesimo secolo. La dinastia Moghul è stata la più importante dinastia imperiale indiana di religione musulmana, una dinastia che ha fortemente influenzato la cultura del sud est asistico e del continente indiano con la sua raffinatezza. La dinastia è stata costellata da una serie di imperatori che hanno governato una vasta area del continente dalla metà del cinquecento all’inizio del settecento, duecento anni circa che hanno lasciato segni profondi.
Lo shahtoosh e l’omonimo scialle, furono da subito prodotti nel Kashmir e soprattutto nella sua capitale estiva, Srinagar, dove ancora, sebbene illegalmente, si produce insieme a molte altre lane pregiate. Nel periodo della dinastia Moghul la produzione di scialli divenne così apprezzata e importante da diventare la prima fonte di reddito del Kashmir. La leggenda dice che l’imperatore Akbar ne fosse particolarmente appassionato e che ne possedesse diverse centinaia. Insomma, il nome “re della lana”, traduzione dal persiano di shahtoosh, sembra sia un appellativo molto ben meritato.
Inizialmente questo tessuto non era accessibile alla gente comune, ma fino al periodo in cui governò di Shah Jahan alla metà del seicento gli scialli shahtoosh erano riservati agli imperatori per i loro momenti più eleganti. E quando pure il loro commercio fu esteso alla gente “comune”, chi lo ha acquistato non è mai stato tanto “comune”. Le elite di tutto il mondo hanno sempre riconosciuto a questi capi di abbigliamento una inossidabile qualità regale, una attitudine imperiale e quindi è stato per lungo tempo considerato uno status symbol indiscutibile da esibire a riprova della propria importanza e ricchezza. Il re della lana ha fatto sentire re e regine molti personaggi celebri. La shahtoosh conserva ancora un fascino talmente irresistibile che ancora oggi in la richiesta di tali capi rimane alta e le autorità di mezzo mondo si trovano spesso a dover sequestrare quantità piuttosto ingenti di questo pregiato drappeggio. E la popolazione di chirù dell’altopiano tibetano scivola sempre di più verso una irrimediabile estinzione. Senza di loro si estinguerebbe anche il re della lana.
Da qualche anno lo scialle di shahtoosh lo troviamo in compagnia con i “trofei” che minacciano la varietà e la ricchezza della fauna del pianeta come statuette d’avorio, le scarpe di pelle di elefante, le pellicce di ghepardo e di leopardo nebuloso, le scaglie di tartaruga marina nella speranza che una nuova consapevolezza della responsabilità che ognuno di noi ha nella conservazione del pianeta lasci lo shahtoosh a vivere nelle leggende di un passato magico e misterioso e il timido Chirù a pascolare tranquillo tra le fredde steppe del Tibet.